C’è una canzone di Giovanni Lindo Ferretti, nella sua seconda vita dopo i CCCP, che porta il titolo di Cronaca Montana.
E’ stata molto importante per me in un inverno di incertezze e tormenti.
Una parte di me, attaccandosi a questa canzone, si struggeva di nostalgia per quella montagna e quella indesiderabile vita di paese da cui sono scappata a vent’anni.
Una parte di me, attaccandosi a questa canzone, si struggeva di nostalgia per una casa di pietra mai esistita, un giardino sul retro, un filo con il bucato steso ad asciugare e un albero ombroso sotto il quale sedersi a leggere. Nulla di vero, ma qualcosa di ipoteticamente realizzabile.
Cronaca montana racconta una montagna fatta di vita dura, di fatica del corpo e della mente, di mediazione con e per la natura.
[…] Questo è un buon rifugio in campo aspro e scosceso
eroso ed addolcito d’acqua e vento
bastione naturale in prospettiva ariosa
terra di passo, di sella, di slitta mal s’addice alla fretta
sa che tutto passa e tutto lascia traccia […]
Non è una canzone luminosa, in nessuna parte.
Addirittura, nel ritornello Ferretti racconta di circostanze non favorevoli, mai.
Ma chiude il testo con bisogna il presente.
Ecco, allora come oggi, io a quelle tre parole mi sono aggrappata.
Ogni giorno il presente si rinnova. Muta, cambia.
Lo si può vivere, o lasciarsi trascinare da esso.
Nonostante tutto, nonostante le avversità, il dolore e le difficoltà, ho deciso di restare nel presente. Allora, oggi.
Ho deciso di prendermelo, viverlo, tenerlo stretto.
Respirare, ingoiare le paure, ed essere.
Scegliere le priorità, identificare cosa serve per stare bene.
Nello stare nel presente, ho anche deciso che questa estate è un buon momento per tornare alle origini.
Continuo a non voler tornare a vivere stabilmente in montagna, per ora. Ma passarci un po’ di tempo, lo vedo come una opportunità.
Dare forma a quella casa in pietra, al giardino, al filo per il bucato, alla me che legge un libro all’ombra con la montagna negli occhi.
Così, da inizio luglio a fine agosto, trasferirò abiti, qualche libro e il mio blocco della scrittrice, in una casa a torre del ‘500, con un camino, una stanza luminosa che guarda un vecchio forno comunitario e la valle, un lato all’ombra, oltre il quale la vista è incorniciata dai (tanto amati) Monti della Riva e dal Monte Belvedere.
L’obiettivo che mi do, oggi, è di provare a scrivere la cronaca, di questi mesi montani – come se il blocco alla mia penna non fosse già abbastanza stressato dalle non so più quante battute da consegnare in autunno.
Vorrei raccontare un nuovo presente, fatto di consuetudini da riscoprire, altri panorami, vecchie storie.
Vorrei che fossero due mesi di lavoro, è quello il motivo per cui salgo, di passi sui sentieri, di antiche tradizioni e confini ancora ignoti da esplorare e tracciare.
Vorrei che le circostanze, ora favorevoli, fossero piene, rotonde, complete.
Vorrei, narrare di cose belle.
Mi sono resa conto, rileggendo il post prima di pubblicarlo,
alla terza riga,
che avevo scritto utilizzando la prima persona singolare e non la terza,
che ero IO e non era LEI.
Ho riletto gli ultimi post pubblicati,
seppur sia passato molto tempo da quando li ho scritti,
e anche quelli sono alla prima persona singolare.
Ne prendo atto, fatico a spiegarmelo, al momento.
E’ andata così. Sta andando così.
Carissima, buona fuga. Buon ritorno. Buon presente!
Buona estate.
Mi piacerebbe passarti a salutare. Anzi, passarvi a salutare . Anzi, “Ci” piacerebbe passarvi a salutare.
Amico mio, amico nostro.
Ti e vi aspettiamo a braccia aperte.
E con le stringhe degli scarponcini già allacciate.