Narrano le storie scritte da François Rabelais, che Gargantua fosse un gigante buono, dalla fame insaziabile, approdato in Valle d’Aosta dalla Savoia, e lì stabilitosi.
Arrivò nella valle al tempo della grande prosperità, quando nei ruscelli scorreva il latte per nutrire gli agnelli, i pastori potevano fermarsi in altura fino a Natale e il male era un castigo sconosciuto.
Era un gigante burlone, e si divertiva a forare montagne, ad appianare nuove valli puntellandole poi di dolci colline, facendo ridere a crepapelle gli abitanti della zona.Nei pomeriggi tiepidi aiutava i valligiani a pigiare l’uva, con l’ausilio di un solo grande dito.
Alla bisogna recuperava animali intrappolati nei burroni, e raccontava le sue tante avventure ai bambini per farli divertire.
Per dissetarsi dopo tanto lavoro si chinava sulla Dora, in equilibrio tra due cime, e ne traeva grandi sorsi.
Gli piaceva, poi, fermarsi a guardare le nuvole scorrere.
Ma Gargantua era anche un gigante curioso ed esploratore dal passato itinerante, e un giorno di fronte a un tramonto infuocato, riapparse in lui il bisogno di mettersi in viaggio verso terre lontane, nonostante per questo dovesse abbandonare quel posto tanto pacifico.
Il tarlo della scoperta lo divorava, oramai il confine di quelle creste doveva essere superato per guardare al di là della valle amica, seppur lasciando aperto lo spiraglio di un ritorno.
Partì prima del sorgere del sole, diretto al grande massiccio che sovrastava la valle.
A ridosso delle rupi che bloccavano l’orizzonte, con fare deciso posò il piede su un ghiacciaio, intenzionato a usarlo come fossero scalini.
Un piede dopo l’altro, il suo enorme peso fece franare la roccia coperta dalla coltre ghiacciata.
Gargantua, cadendo, si trovò a gambe divaricate poggiato su quello che rimaneva del muro di montagne, una vetta a forma piramidale: il Cervino, la Grande Becca.
#menosettanta