Non sono mai stata particolarmente poliglotta.
Parlo poco e male lo spagnolo, imparato nei bar hipster di Madrid e perso una parola dopo l’altra in troppi anni di lontananza della grande città bianca.
Parlo poco e male l’inglese, imparato masticando paper scientifici e serie tv americane, ma poi completamente spodestato dallo spagnolo ed ora difficilissimo da recuperare.
Alle scuole medie, una professoressa terribile e con il cerchietto ha provato a insegnarmi qualcosa di francese, che ha attecchito miracolosamente nella mia mente fino ad un viaggio in Marocco durante l’università, quando lo ho utilizzato per la prima e unica volta. E, poi, completamente dimenticato.
Infine, ho sempre amato l’italiano, che possedevo con dovizia di vocaboli per le scorpacciate di libri quasi quotidiana. Ma negli ultimi due anni, anche lui, per le troppo poche conversazioni con adulti e le troppe relazioni virtuali, ha subito una lenta sfioritura.
Per cui, le lingue per me non sono qualcosa che trova campo fertile per radicare e prosperare.
Anzi.
Però.
Però, alla fine dell’estate, qualcuno che non conosco se non per un lieve sfioramento ha usato una parola, che è rimasta a rimbalzarmi in testa.
La ha impiegata per descrivere una situazione, una relazione. Subito dopo avere evidenziato, con una breve e chiara frase, il mio [io, Lei] carattere testardo e determinato, senza conoscerlo, ma ricavandolo dall’osservazione di alcuni dettagli e l’ascolto di certi racconti.
Il termine in questione è di origine russa, e utilizzando il nostro alfabeto è scrivibile come poputniki, traslitterato dal cirillico попутники (per la pronuncia corretta, avvalersi del sempre puntuale Google).
Era in uso ai tempi dell’Unione Sovietica, forse anche prima, e significa “compagni di strada” oppure “compagni di cammino”, intendendo quest’ultimo come una strada percorsa a piedi, certo, ma non solo.
Non sono brava nemmeno nella ricerca storiografica dell’origine delle parole – soprattutto se serve conoscere il cirillico per poterlo fare, ma lo ho trovato nel Historycal dictionary of russian theatre di Laurence Senelick (2007), tradotto proprio come fellow-travellers, compagni di viaggio.
Ora.
Lo so, tutto ciò che è “russo” in questi giorni, in queste settimane, è mentalmente difficile da maneggiare.
Ma un conto è la lingua, un conto sono le persone che la usano e gli avvenimenti correlati ad un luogo in cui si parla.
E forse, a volte, serve ricordare che popolo e cultura non sempre corrispondono ad accadimenti e governanti.
Per lo meno, a me serve.
E quindi, ben venga rigirarsi nella mente e sulla lingua una bella parola, ed il suo significato. Per come è stata spiegata, per come è stata scoperta.
Ho passato qualche ora a trovare assonanze tra ciò che è poputniki e i momenti vissuti, i luoghi conosciuti, esplorati ed attraversati, le persone che erano presenti.
Ho cercato di capire se ci sia modo di utilizzare questo termine nel quotidiano, per rendere propria la parola, farla mia per davvero, senza fermarmi alla attribuzione che qualcun altro ha visto per me.
Provare a immaginare se sia possibile maneggiarla per darle realtà, rendendo poputniki tangibile, come poteva essere nelle freddi notti siberiane, durante le marce sulla neve ghiacciata, o nella condivisione di un bicchierino di vodka di patate alla fine di una giornata di rivoluzione.
Ho provato a dare forma, alla parola.
Rendendola occhi, labbra, braccia e gambe. Neri, sottili, forti, da gru.
Attribuendole un odore ed una morbidezza. Quello respirato nella piega del collo, appena dietro l’orecchio, quella percepita con i polpastrelli sugli avambracci bianchi di inverno.
Lasciando che diventi calda come quel certo abbraccio, o lieve come quel primo bacio.
Poputniki è di qualcuno e di nessuno.
Poputniki è me e Lui.
Poputniki è parola dimenticata e parola presente.
Poputniki è lingua che sbatte sui denti in una pronuncia sicuramente imperfetta, senza che la voce sappia piegarsi alla durezza risoluta del russo.
Poputniki è parola donata, scoperta, acquisita.
E, d’ora in poi, sarà parola da vivere e vissuta. Condivisa, come il suo significato vuole.
A Elena,
per il dono di questa parola.