Camminare è sempre stato il suo modo per liberare la mente, sgomberare i pensieri intrusivi e fare spazio per la calma e la tranquillità.
Camminare è sempre stato il suo modo per ritrovarsi, per analizzare ciò che le stava succedendo con lucidità assoluta, arrotolando gli eventi e le loro implicazioni, e riorganizzando tutto in una fila ordinata di fatti, su cui prendere una decisione.
Camminare è sempre stato il suo modo per salvarsi, il motore di tutte le cose.
Ma negli ultimi anni, la sedentarietà ha preso il sopravvento. Non certo per sua scelta.
Le motivazioni sono varie, e sfaccettate. In fondo, non sono così importanti.
Il risultato non cambia, la sofferenza dovuta all’immobilità c’è e resta.
Nel tentativo di stare ha, però, trovato un’alternativa, capace di unire la sedentarietà con la liberazione.
Ha ripreso in mano i ferri di metallo con cui sua madre lavorava, e ha richiamato dalle profondità della memoria ciò che sua nonna paterna le aveva insegnato da bambina sul dritto e sul rovescio.
Il resto lo hanno fatto YouTube e un negozio di filati dove ha trovato consigli e amicizia.
Da allora, la sera o nel primo pomeriggio, si siede a gambe incrociate sul divano e intreccia fili di lana, in un moto perpetuo di nodi accompagnato da un leggero sferragliare.
Realizza fasce, cappelli, guanti, sciarpe e colli. Niente di troppo complicato, nulla di troppo elaborato. Poi, regala quasi tutto.
Conta i punti, lascia correre il filato tra le dita, e la mente si svuota. Si rilassano i muscoli, torna la pace. Il pensiero si fa leggero, la quotidianità lascia nuovamente spazio alle storie immaginate.
É un trucco, un palliativo, rispetto al camminare.
Ma funziona, ed è funzionale.
Quindi, per ora, annoda.