31 ottobre 2006, esterno, giorno.
Due amiche, compagne di banco da cinque anni, scendono dal treno alla Stazione Centrale di Bologna.
Sono partite dai loro rispettivi paesini per fare una cosa nuova, per sancire il passaggio dalla fanciullezza all’età adulta. Ci vuole un rituale. Un rito di passaggio, appunto.
Raggiungono il negozio mantenendosi sulle vie maggiormente percorse: non sono grandemente esperte della città, e in quell’epoca Google Maps non era ancora giunto ad aiutare l’orientamento.
Entrano, salutano. Una delle due spiega ciò che desidera.
Viene fatta accomodare dietro un separè bianco e antisettico. La persona che la ha accolta, Thomas, tira fuori dai cassetti una serie di oggetti monouso, si infila i guanti, prepara tutto. Deve però cambiare pinze, son troppo grandi per lo spessore limitato con cui si devono interfacciare.
È un momento, una semplice puntura. La canula entra, la canula esce, sostituita da un gioiello in acciaio chirurgico.
Lei, ha finalmente il suo piercing alla lingua.
Il metallo passa attraverso la carne, proprio come la sua intera persona deve fare con la vita che sta cambiando.
Presto, non sarà più una studentessa delle scuole superiori.
Presto, dovrà sostenere la prima vera prova della sua vita, che la terrorizza.
Presto, il comodo mondo che ha abitato negli ultimi cinque anni lascerà il posto a qualcosa di nuovo e ignoto.
Ma, presto, avrà anche un’automobile per spostarsi su e già per l’Appennino, non solo i suoi piedi.
Presto, avrà tutta l’autonomia e l’indipendenza che mai le è stata concessa. Saprà gestirla?
Desiderava sancire così, questo immenso cambiamento che la aspetta. E ricordare, anche, sempre così, chi non c’è più.
Gli anni scorrono, uno dopo l’altro.
Lei cresce, vive, cambia.
Porta il suo bastoncino di metallo con sé.
È un punto fisso: può succedere qualsiasi cosa, ma il metallo è sempre lì.
Sta diventando adulta, non le piace granché in certi momenti, in altri invece le piace molto.
Sta diventando adulta, tanto cambia, qualcuno arriva, molti se ne vanno, l’acciaio chirurgico, resta.
Si rende conto che spesso ci gioca, senza accorgersene.
A volte qualcunə le chiede spiegazioni, sorpresə da questa presenza. Lei sembra quasi non ricordarsene.
Altre volte, è consapevole del suo essere lì, rassicurante, e lo fa suonare contro i denti, ne saggia il peso quando parla.
Senza, è come se fosse nuda.
23 marzo 2025, interno, giorno.
Potrebbero esser stare le fragole.
O forse il kiwi.
O forse una carenza vitaminica.
O forse una carenza di ferro.
O una reazione avversa al nuovo farmaco dell’emicrania che, accidentalmente, funzionava anche molto bene nel limitare il numero di attacchi.
Il risultato però non cambia: la lingua si è gonfiata, le papille sono irritate, rosse, dolenti. Per giorni – giorni! – non riesce quasi a mangiare e parlare è un dolore continuo.
È costretta a togliere il piercing.
Svita a fatica la pallina superiore, toglie la barretta di metallo dalla sua naturale ubicazione.
Diciotto anni e mezzo. La metà esatta della sua vita, più qualcosa.
Passa una settimana. Poi un mese.
La lingua piano piano si sfiamma, la causa resta ignota.
Il buco inizia il processo di cicatrizzazione, nel mentre.
Come se i diciotto anni appena passati, fossero stati un soffio.
Come se i diciotto anni appena passati non fossero stati mezza vita.
Forse, lo perderà. Per sempre.
Forse sarà nuda, per sempre.
Forse il rito di passaggio deve considerarsi compiuto.