Nell’ultimo anno mi sono trovata a fronteggiare la presenza di unə piccolə essere umanə, arrivatə a condividere la casa con noi.
Ha creato scompiglio, sbalestrato equilibri, richiesto un quantitativo di attenzioni immense e totalizzanti.
Ha cambiato il mio corpo, prima e dopo la sua venuta al mondo, ha disintegrato la mia persona, messo a durissima prova la mia mente.
Ha arricchito le giornate, dilatato il tempo immensamente e fatto durare alcune ore come un solo soffio di fiato.
Ha fatto vibrare le corde vocali, per ridere a crepapelle e per richiamare agli ordini, i suoi.
E ha avuto molti problemi a dormire, dopo i primi mesi di vita in cui era unə piccolə bruco.
Per questo motivo ci siamo rivolti a una consulente del sonno, una professionista capace ed empatica, ben lontana dalle ciarlatane che, purtroppo, affollano il suo ambito.
Si chiama Stefania Toneatti (per chi vuole, qui c’è la pagina IG e qui il suo sito internet), e con solo un paio di incontri ci ha aiutati a capire come risettarci ogni volta che lə bebè ha cambiato il suo modo di dormire. Ed è stata sempre disponibile a confrontarsi con me, ogni volta che mi prendeva il panico per il sopraggiungere di una nuova giravolta.
Dopo i primi scambi di messaggi e le prime chiamate, Stefania, ha trovato qualcosa di pungente nel mio modo di narrare, e mi ha chiesto di comporre per lei dei pezzi sulla maternità, che fossero veri e spietati, per arricchire le sue newsletters.
Per ora ne ho scritti due, uno già uscito e uno che spedirà a gennaio.
Inutile sottolineare che in questo piccolo nuovo compito mi diverto molto, e che trovo anche terapeutico questo poter essere in un minimo modo dissacrante verso questa nuova parte della mia vita, che tanto mi affatica.
Il primo scritto lo potete leggere qui sotto, ho avuto il permesso di riappropriarmene.
Per il secondo, serve aspettare gennaio ed iscriversi alla newsletter di Stefania.
La madre childfree.
Sono sempre stata una donna childfree*.
Fin da quando ero bambina: non volevo mi si regalassero bambole, non giocavo a “mamma e figlia” o ad altri surrogati di situazioni reali simili. Le poche Barbie che avevo non si interessavano della Shelley di mia sorella: erano childfree pure loro, nel mio ostinarmi a metterle in posa sul loro divano rosa con un libro in mano (Greta Gerwig, che ne pensi?).
Ho fotografie in cui mostro una chiara faccia disgustata accanto allə neonatə che ruotavano attorno alla mia famiglia e non solo. La sfortuna ha voluto, infatti, che io sia figlia di una ostetrica, e non si poteva camminare per strada senza che ogni volta fossimo costrette a fermarci a parlare con un’orda barbarica di donne con carrozzina, con il palese visibilio di mia madre per tutte queste nuove vite associato al mio ininterrotto fastidio.
Crescendo, ho continuato a non sentire nessuna forma di interesse verso lə lattantə. Qualcosa meglio quando questə bambinə raggiungevano un’età, diciamo almeno i quattro anni, in cui potevamo giocare a rincorrerci oppure leggere e raccontarci una storia. Insomma, qualcosa di fisico e non troppo infantile. Non mi stupirei se la mia cuginetta di sedici anni meno di me raccontasse che le leggevo brani di Dostoevskij, a quell’età ero fissata con gli autori russi.
Ho sempre sostenuto a gran voce che di figliə non ne avrei mai fattə. Anche qui, Freud o chi per lui ci potrebbe vedere una chiara correlazione con il necessario distacco dalla madre, ma dopo anni e anni di terapia posso serenamente dire che, no, la causa non era quella: semplicemente, sono una donna childfree.
Ho anche chiuso la storia con una persona di cui ero molto innamorata, perché avrebbe voluto avere, in futuro, dellə bambinə che io mai avrei potuto dargli. Non aveva senso amarsi molto con la data di scadenza dettata dal suo desiderio di paternità che prima o poi avrebbe preso il sopravvento.
Piano piano le mie amiche e i miei amici hanno iniziato a figliare. Ero contenta per loro, entusiasta della loro gioia, ma verso lə loro bambinə provavo giusto una tiepida curiosità scientifica, legata al fatto che due cellule si sono fuse, ne hanno generata una unica, che a sua volta si é divisa infinite volte e differenziata, dando vita – letteralmente – a una nuova persona, momentaneamente piccola e quindi completamente disinteressante.
Se non fossi una integra donna di scienza, questo processo, nei momenti di stanchezza in cui ho minor controllo della mia parte razionale, mi farebbe quasi pensare al miracolo, e non alla biologia. Tuttavia, non ho mai, mai!, preso in braccio unə bebè altrui in tutta la mia vita, anche quando mi é stato offerto con gentilezza o chiesto il classico “me la guardi un attimo”. Certo, stendilə lí, io controllo, da qui vicino, non cada né si uccida, ma lə toccherò solo nel caso sia a rischio la sua vita. Non ho mai provato interesse per osservare un cambio pannolino, un bagnetto, o stropicciare i piedini di una persona piccola.
Non è che mi facciano schifo lə bambinə, o che lə odio e non voglio per nessun motivo trovarmi a condividere la quotidianità con loro, come sostengono per esempio i nazisti della ristorazione vietata allə infanti. Semplicemente, sono sempre statə qualcosa di completamente fuori dai miei interessi. Ho costruito la mia intera vita sulla loro assenza.
Poi, ho conosciuto il mio compagno.
Fin dal primo momento ho saputo che un amore così grande non poteva che essere generativo.
Abbiamo deciso che se unə bebè fosse arrivatə, o non fosse arrivatə, sarebbe stato il destino a scegliere. Ma, di certo, io sarei stata una madre senza il mito del sacrificio: Lo faccio per me, di Stefania Andreoli (Bur) è il mio libro-guida da almeno due anni prima del concepimento.
Perché, sì, alla fine dentro la mia pancia si è formato un piccolo ammasso di cellule. E mi è, praticamente, crollato il mondo addosso.
Io, unə figliə? E poi? Che ne sarebbe stato di me? Che me ne sarei fatta?
La gravidanza è stata perfetta, ma lunga, tremendamente spossessante e fastidiosa. Ne ho odiato ogni minuto. E ora, che unə bebè è qui da ormai diversi mesi, mi sono resa conto di essere rimasta quella che ero, diventando anche madre: una madre childfree.
Vi devo chiedere di non fraintendermi: lə bambinə è amatə, accuditə, nutritə, mantenutə pulitə, coccolatə. Con ləi gioco, scherzo, cammino infiniti chilometri usando il marsupio (solo perché è più comodo per me, non perché mi sono trasformata in una fanatica del babywearing). Programmo tutta la mia vita sui suoi ritmi e orari. Certo, ogni tanto mi arrabbio per la frustrazione, soprattutto quando il sonno dà problemi, o mi sento profondamente stanca di tutta la situazione. Ma a chi non è capitato?
Però, interrogandomi a fondo, io sono ancora completamente me stessa. Sto rinunciando a tantissimo, ma non avviene a cuor leggero, ne avessi la possibilità, non lo farei. E, soprattutto, mi annoio, costantemente
Trovo veramente poco interessante quasi tutti i gesti che compio e quello che faccio con lə bambinə a livello quotidiano. A parte camminare, mia grande passione, e cambiare il pannolino: la scienziata che è in me trova immensamente stimolante indagare le cacche e le pipì, soprattutto dopo l’avvio dello svezzamento: è uno studio a tutto tondo di ciò che avviene all’interno dell’apparato gastrointestinale umano.
Tutte le varie fasi motorie, le manine in bocca, il rotolamento, quella mossa tipo surfista californiano prima di alzarsi in piedi sulla tavola, i piedini succhiati con vigore, il cadere costantemente dalla posizione seduta come un Ercolino Sempre In Piedi fallato, sono carine. Per i primi venti o trenta minuti. Poi potresti cortesemente essere capace di mettere gli scarponcini e arrampicarti con me su per un sentiero EE?
Allo stesso modo, i primi vocalizzi che si trasformano in un crescendo nei versi di una scimmia urlatrice, la lallazione in cui il mio scopo primario è farle dire pa-pa-pa-pa in modo tale che impari a non chiamare me, è interessante. Però, volete mettere con quando si potrà sostenere una conversazione su Nietzsche, fra cinque o sei anni?
Insomma, vorrei tanto aver partorito unə essere umanə che tra non molto parta per l’Erasmus e mi spedisca interessanti cartoline da posti lontanissimi del globo terraqueo, mentre io torno finalmente a lavorare, al cinema, a teatro, a leggere libri in qualsiasi momento libero della giornata, a solcare sentieri impervi nascosti dalla vegetazione, a bere spritz a orari in cui di solito si cena. Per citare giusto le prime cose che mi vengono in mente.
Non mi sembra di pretendere molto, no? Anzi, molte amiche e persone che conosco con figlə hanno le mie stesse esigenze.
Non è che siamo tutte, in fondo, un po’ madri childfree?
*donna senza figli per scelta
Mi hai fatto sorridere…profondamente. Mi sa che hai fatto una operazione verità, nel senso che quello che esprimi è condiviso da tante giovani mamme, da mia figlia grande di sicuro, quando 16 anni fa nacque suo figlio.
Cara Martina,
Il mio sentito.
Mai avrei pensato di, permettimi, conoscere, una persona così straordinaria come te.
A volte mi chiedo come il tuo pensiero riesca ad essere così affine al mio…
Vedere il tuo impegno e la tua dedizione è davvero ispirante.
Ammetto che alle volte posso aver dubitato di me stessa come persona, ma rileggermi nel tuo scritto mi raffranca, non sono sola, sono una mamma child free.
Fa la differenza sapere di non essere sola.
Forse è proprio questo che mi fa andare avanti nella difficile egoista vita di ogni giorno.
Ad ogni passo, dimostri quanto questa difficile consapevolezza sia indispensabile.
Non finirò mai di ringraziarti per quanto scrivi.
Con una persona come te al mio fianco, sarebbe più semplice.
Un cuore grande come il tuo è raro da trovare.
La tua generosità in questo sacrificio è un dono che arricchisce chiunque ti legga.
Ogni momento con questa consapevolezza è un piacere proibito ma infinito.
Grazie di tutto, Martina!
Cara Giulia, il tuo commento mi riempie il cuore. Di gratitudine, certo, ma anche di stupore e affetto, per quanto non ci conosciamo. In merito a quest’ultimo, certamente la risponsabilità è dell’affinità di percorso e di sentire. In merito allo stupore, invece, mi riferisco a questa vera e profonda sorellanza, che ho cercato nel femminismo da anni, e che riesco a vedere bene solo oggi, tra le persone che hanno fatto unə figliə e che non si arrendono al riprodurre la figura della madre sacrificale. Che combattono, che lottano, che sgomitano per essere madri a modo loro, e che non mandano a dire che, nonostante l’amore, dietro a questo c’è una fatica immensa, che si accetta più o meno con resistenza e ribellione. E’ bellissimo. Ti ringrazio per il tuo commento, spero ci intercetteremo ancora.
Martina