C’era un gruppo di amici, nato da un’utopia.
C’erano persone che si volevano bene, che condividevano pezzi di vita, che desideravano passare tempo assieme, creare ricordi ed esperienze, esserci l’una per l’altra.
C’erano persone che facevano la loro vita, smontavano e costruivano. Persone che si amavano, e che poi non si amavano più.
C’erano persone che vivevano lontane, e si vedevano una manciata di volte all’anno. Ma era, sempre, come se si fossero viste per l’ultima volta il giorno prima.
Tra quelle, c’erano due persone che si sono innamorate. Che lo hanno fatto nonostante tutto, nonostante il resto.
Quelle due persone, non hanno potuto fare altrimenti. Così, succede, a volte, nella vita.
C’era un gruppo di amici, nato da un’utopia.
Tra quelli, però, c’era anche una persona che pretendeva di fare il buono e il cattivo tempo, decideva in base al suo umore chi era in e chi era out.
Quella stessa persona che non poteva essere giudicata da nessuno, nei suoi errori e nelle sue vittorie, perché così si fa, tra amici. Ma che giudicava tutti e tutto.
A un certo punto, il gruppo di amici non è più stato tale.
Si è instaurata una certa sudditanza, verso colui che credeva di essere di più. Degli altri, di tutti.
Di essere sempre nel giusto, di poter prevaricare e di potersi eleggere a giudice, delle piccole e delle grandi cose.
Quando qualcosa non va come desidera, alza muri.
Che a volte passano anche attraverso veri e proprio pogrom, incitando e fomentando l’odio verso i pochi, verso le minoranze dissidenti.
Prima, si è scagliato contro un amico che aveva bisogno di aiuto, non di odio. Gli adulti, in certe situazioni, dovrebbero saper vedere oltre gli sbagli.
Allontanato in malo modo, screditato e ingiuriato di fronte, anche, a perfetti sconosciuti. Nel privato e nel pubblico.
Poi è toccato a Lei e a Lui, la cui unica colpa è stata l’amore reciproco.
Traditi, cacciati dal gruppo, bloccati in ogni contatto da chi chiamavano amico fino a poco tempo prima.
Trattati come pària.
Ne hanno sofferto, certo. Meno, però, di quanto quella persona avrebbe desiderato.
Hanno voltato pagina, compreso cose, rivalutato la loro definizione di amicizia.
Passano gli anni. Passa il tempo, e affievolisce.
La vita è andata avanti. Per tutti.
Fino a una mattina, la primavera alle porte. In un parco pubblico.
Lei e Lui, seduti a far colazione a un tavolino all’ombra.
Una persona di quel gruppo di amici, nato da un’utopia. Cammina nella loro direzione. La vede, Lei lo vede.
D’istinto, entrambi, alzano un braccio per salutarsi.
Lei si alza, lo raggiungere. Si stringono in un abbraccio fraterno.
Nonostante il pogrom, nonostante i divieti sanciti da colui che. Nonostante l’inimicizia obbligata.
C’è ancora, quella cosa lì. L’affetto.
L’amico di un tempo, poi, si ricorda che. Deve essere ostile, deve allontanarsi, deve giudicare. Glielo hanno ordinato.
Si schernisce, trova una scusa, si allontana. Sparisce.
C’era un gruppo di amici, nato da un’utopia*.
C’è ancora. In un mondo che, però, non è quello della vita reale.
*termine coniato da Thomas More nel 1516, con le voci greche ū ‘non’ e tópos ‘luogo’; propr. “luogo che non esiste”.
Foto di copertina: luglio 2017, Monte Pasubio.