Ad fine ottobre, ogni anno, quando i colori degli alberi dell’Appennino iniziavano ad imbiondire e i sentieri dei boschi venivano invasi dalle foglie e dai ricci di castagna, mia nonna raccoglieva una castagna matta, estraendola dal suo involucro spinoso e me la porgeva, suggerendomi di metterla nella tasca del cappotto, e di conservarvela per tutto l’inverno, perché mi avrebbe protetta dal raffreddore.
Per tutta la stagione fredda, trasferivo questo prezioso amuleto da una giacca all’altra, compresa la tasca della tuta da sci.
Spesso mi scoprivo a giocarci, con la mano sinistra, levigandola e lucidandola un giorno dopo l’altro. Alla fine dell’inverno risultava leggermente più piccola rispetto a quando la avevo avuta in dono, disidratata, e decisamente più scura, a seguito del passaggio di oli tra la mia mano e la sua buccia dura.
Di raffreddori o altri malanni stagionali, nemmeno l’ombra.
Mia nonna mi ha anche insegnato a trovare le castagne matte più belle, e raccoglierle per regalarle ai familiari ed alle persone care, per proteggerle, mettendole nei cappotti, nei cassetti o nelle borse.
Non c’è stato inverno, senza marrone in tasca.
PICCOLO DIZIONARIO DI LESSICO DIALETTALE DI VIDICIATICO.
Le castagne matte in famiglia le abbiamo sempre chiamate marroni, come le castagne comunemente edibili utilizzate per fare le frugiate, ovvero le caldarroste.
NOTA: la differenza tra castagna e marrone è ben chiara: la prima è il frutto della pianta di castagno selvatico, il secondo, generalmente di dimensioni maggiori, il frutto della medesima pianta modificata dall’uomo a seguito di diversi innesti, per farne una pianta più congeniale alla coltivazione.
La castagna matta, al contrario di quello che il nome richiama, non è un frutto, come la castagna lo è del castagno (Castanea sativa), ma il seme dell’ippocastano (Aesculus hippocastanum), un albero antichissimo, probabilmente un residuo dell’era terziaria.
Data la somiglianza tra i suoi semi e i frutti del castagno, gli antichi certamente tentarono di mangiarli, ma ben presto dovettero rinunciare perché non solo sono molto amari, ma presentano anche una certa tossicità per l’uomo.
Nonostante questo, per la credenza popolare costituiscono veri e propri amuleti per preservare chi li possiede dal raffreddore, per cominciare.
Ma anche dai ragni, dal rischio di raccogliere funghi velenosi nel bosco, dalla tosse e dalla malinconia.
Inoltre, con la sua sola presenza nella tasca del cappotto, sa raccontare storie fantastiche, svelando i misteri dei boschi, degli elfi che vi vivono, l’amore che nasce tra gli scoiattoli sui rami, le uscite notturne dei branchi di lupi.
Conservandolo, nella tasca del cappotto o in fondo alla borsa, fra le monetine e gli oggetti creduti perduti, dentro lo zaino o nell’astuccio, vicino al righello, le matite senza punta e le briciole della merenda, in un cassetto o sulla scrivania, accanto alle piantine grasse che sopravvivono grazie ad una forza sovrannaturale ed alle foto delle vacanze estive, la sua protezione e i suoi racconti ci faranno compagnia fino alla primavera.
Il seme dell’ippocastano, la castagna matta, è una miniera di magia, un rito irrinunciabile di ogni autunno, un alleato prezioso, che ci si creda o no.
“Vado quasi ogni mattina nel solaio, dove lavora Peter,
per liberarmi i polmoni dall’aria viziata della stanza.
Mi siedo per terra nel mio posticino preferito e guardo il cielo azzurro,
il castagno brullo sui cui rami scintillano piccole goccioline,
i gabbiani e gli altri uccelli che fendono l’aria e sembrano argentati. Respiravamo l’aria fresca, guardavamo fuori e sentivamo che c’era qualcosa che non bisognava interrompere colle parole.”
(dal Diario di Anna Frank)
Magica e poetica come tutti i matti, questa castagna