In direzione opposta.

Tutti ricordano quella notte di inizio marzo e l’esodo in corsa da Milano.
Le persone accalcate, alla stazione di Porta Garibaldi, dominate da un panico cieco, che si spintonano e strattonano pur di riuscire a salire sull’ultimo intercity notte disponibile che faccia rotta per il sud della penisola, dove la pandemia non mostra ranghi così serrati, dove le vittime di un virus invisibile ma determinato sono molte meno rispetto alle operose regioni del nord. Dove ci sono familiari e amici.
Nei mesi successivi la Lombardia e il suo capoluogo sono state il fulcro di una spirale di dolore che ha tenuto sotto scacco il Paese. Fatto di sconforto, ansia, frustrazione, spesso fronteggiati in maniera solitaria. A cui si andava sovrapponendo, un giorno di quarantena dopo l’altro, la trasformazione nel capro espiatorio della paura dei più, dando origine anche a una nuova forma di razzismo, tanto facile di questi tempi, fatta di male parole e cartelli che inneggiavano al ritorno entro i propri confini, di consigli di isolamento nella propria regione, per finire con l’augurio della scomparsa di una intera popolazione legata dal medesimo accento con quelle strane vocali al contrario.

Con l’arrivo dell’estate, la pandemia è, o pare, maggiormente sotto controllo, e la Lombardia ha riaperto i suoi confini, ma è facile immaginare come non sia presa d’assalto dai turisti. La paura, sempre lei, meschina, rimane, anche quando dicono che, ora, va tutto bene.

Per Lei è stato naturale, invece, provare un desiderio di ritorno verso il luogo da cui tutti scappavano, solo quattro mesi prima.
Andare in cerca di questa città sconosciuta, delle sue strade, delle grandi piazze, di quello che c’è di moderno e di quello che c’è di antico.
E’ salita su un treno, ed è scesa alla Stazione Centrale.


Milano.
Calda e umida come le città di pianura sanno essere nei mesi estivi.
E praticamente vuota, a sua disposizione.
La esplora a piedi, come d’abitudine, col desiderio di unire un paio di luoghi, in cerca di ricordi e racconti. Dopo una rapida occhiata alla mappa, e l’identificazione di una direttrice. Nell’urbano è sempre molto brava a farlo, basta avere un punto fisso con il quale orientarsi. E, in questa città, la torre di vetro di una banca, che spicca come un pennone senza bandiera, si presta bene.

Il Bosco Verticale, la Biblioteca degli alberi con i suoi profumi, una nuova piazza ipermoderna.
Corso Como, Porta Garibaldi e l’omonima strada. La lascia sulla sinistra, istintivamente, per addentrarsi in Brera, immobile e sospeso, la corte d’onore della Pinacoteca praticamente vuota.
Il Teatro la Scala, la piazza con le sue proteste nei giorni della prima, la statua di Leonardo da Vinci che, paterno, osserva dall’alto chi la attraversa.
La Galleria Vittorio Emanuele II, vuota. Una ragazza, accanto a lei, si lascia sfuggire un’esclamazione di sorpresa: non aveva mai visto i mosaici del pavimento nella loro interezza, ma solo il dettaglio attorno ai propri piedi. Il toro scaramantico, riposa, senza che nessuno posi il tallone sul suo basso ventre, sperando serva per tornare, una volta ancora, in città.

Infine, il Duomo. Bianco, svettante, ricco di dettagli. Nella piazza, quasi nessuno. Anche i piccioni passeggiano sconsolati per la mancanza di foraggio.
Lei che è abituata allo stile della sua città rossa, alle chiese incomplete, ai mattoni di argilla ed all’arenaria, dal gotico è subito affascinata e conquistata. Potrebbe restare ore ad osservare ogni dettaglio delle guglie, a passare il dito sul marmo di Candoglia, leggermente poroso, per creare una memoria tattile delle terrazze sulle quali cammina. E da cui osserva la città ai suoi piedi, incorniciata dai ricami bianchi. Sconfinata, in ogni direzione, di cui riesce a fissare pochi dettagli: vetro e metallo, palazzi con grandi corti, i tetti grigi, puntellati saltuariamente di verde e qualche gru.
All’interno della grande chiesa, uno spazio immenso, alto, sacro. Anche qui la ricchezza dei dettagli è disarmante, servirebbero occhi migliori dei suoi e un tempo infinito per accarezzarne e comprenderne ciascuno. Ogni vetro delle ampie finestre e dei rosoni, colorato dalle spezie che giungevano via fiume dall’Oriente, nasconde la storia degli artigiani che vi hanno lungamente lavorato, le loro gioie e i loro dolori.
Dietro l’abside, nuovamente all’esterno, c’è una magnolia. Qualcuno assicura che in primavera fiorisca, per poche, preziose, ore.

Piazza del Duomo, Milano, agosto 2020.

Un viale candido, intitolato alla capitale sabauda, conduce ad un colonnato famoso per la vita notturna che si consuma tra i suoi marmi, ma anche per le fughe da scuola dei liceali della città.
San Lorenzo Maggiore, una basilica costruita e modificata più volte dall’epoca romana in avanti, spesso a seguito di incendi e dei relativi danneggiamenti. La facciata principale, più omogenea, non permette di rendersi bene conto delle diverse porzioni, ma recandosi nella parte posteriore, nel parco che già portò il toponimo di Parco delle Basiliche, si possono comprendere bene i diversi stili e le diverse parti che, via via, si sono andate a sovrapporre e a fondere. Anche all’interno, le colonne e le volte riportano forme e geometrie differenti, come se chi si occupasse di arricchirla e modificarla, cambiasse idea, di volta in volta, sullo stile scelto.
Un ragazzo rasta e a petto nudo, sonnecchia all’ombra quieta della costruzione. Su una panchina, una coppia di ragazzi molto giovani si scambia promesse d’amore, sotto gli occhi dei pochi curiosi passanti.

Infine, le gambe la conducono alla Stazione di Cadorna, per mangiare un gelato e passare a sfiorare il campanello di quella casa editrice che nei mesi di reclusione ha regalato dirette streaming e fumetti, evitandole il completo tracollo. Sfiora l’idea di suonare, per ringraziare. Ma poi decide che potrebbe affidarsi ad una missiva, per timidezza, e perché le parole scritte si portano sempre dietro un enorme, disperato, romanticismo.
Poco lontano, il Castello Sforzesco e l’ombroso Parco Sempione, nel quale riposare all’ombra di una catalpa e riempire la borraccia dall’acqua che sgorga altruista dalle tante fontanelle con lo stemma bianco e rosso, proprio uguale a quello della sua città. Scrivere una cartolina appoggiata ad un tronco, ma non riuscire a trovare un francobollo per inviarla.
Dal lato opposto, l’Arco della Pace fa mutare il paesaggio, ed agli alberi ed alla polvere dei viottoli, si sostituisce il neoclassicismo di Corso Sempione, progetto ambizioso di inizio ottocento per collegare Milano a Parigi. Il tram giallo della linea 1 le passa accanto sferragliando, richiamando alla memoria suoni di un’epoca che più non appartiene al quotidiano, facendole sognare come deve essere la notte attraversare la città silenziosa lungo i binari.

Basilica di San Lorenzo Maggiore dal già “parco delle Basiliche”, agosto 2020.

Il sottosuolo, ospita la metropolitana. La linea rossa, cambiata per la gialla.
Di nuovo la Stazione Centrale, con le sue strutture di ferro degli anni trenta e il suo inconfondibile stile razionalista.
Torna a casa.


Ha trovato una Milano diversa da come se la aspettava, privata del velo della stereotipia della città nebbiosa in cui piove sempre.
Rendendosi conto che il bello è ovunque, anche nella laboriosa capitale della moda e del capitalismo, basta guardare dall’altra parte, e sapere cosa cercare.
Quello che si pensava grigio, è invece colore.
Quello che si pensava buio, è invece luce.
Quello che si pensava orrore, è invece incanto.


Ad Anna Cristina,
che ha avuto la pazienza di seguirmi a piedi,
ovunque io sia voluta andare.


Ad Alessandro Baronciani,
per la storia della magnolia del Duomo,
disegnata.

Una risposta a “In direzione opposta.”

  1. Bell’articolo, riesci a far vedere la città sotto i tuoi occhi attraverso le parole in modo semplice e diretto, Grazie, coltiva questo tuo dono Martina.
    Un abbraccio
    Rosanna

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