Bologna in preda al Pride, l’aria al Piazzale Medaglie d’Oro è afosa.
La maglietta rossa di ordinanza, simbolo di perpetuata umanità. Sono in tre, forse un po’ ridicoli a vedersi tutti vestiti allo stesso modo.
Pronti per salire in montagna.
Imboccano la SS Porrettana e scivolano lungo le morbide curve, superando uno dopo l’altro la città natale di Guglielmo Marconi, l’Antica Misa, la foce del Silla, Lizzano in Belvedere, dove poco prima dell’ingresso in paese l’asfalto stacca sulla sinistra e la strada si inerpica, all’ombra vegetale.
Superato l’abitato di Pianaccio, la sinusoide carrabile conduce al Rifugio Segavecchia, con i suoi muri in pietra e la veranda in legno.
I tre sistemano gli scarponi nella rastrelliera, i sacchi a pelo nei letti a castello e stappano la birra dell’arrivo.
In fondo, la SS64 costituisce sempre una discreta avventura.
Cenano in cinque, loro in rosso gli altri due in giallo, ad accentuare la rivalità tra le rispettive città di appartenenza.
Si susseguono storie di libanese e 7Up, di adesivi e società sportive, musica e concerti ormai remoti.
C’è chi dichiara di essere un noto russatore notturno, chi di essere narcolettico.
E chi ha, volutamente, dimenticato a casa i tappi per le orecchie, si pente.
Il Sentiro degli Amici, il numero 123, parte in salita.
Li conduce sulle orme di Enzo Biagi, lungo lo stesso percorso scelto da lui per raggiungere la Brigata Giustizia e Libertà Montagna.
La contropendenza di primo mattino richiede sempre il pagamento del dazio, che spesso si tramuta in una fatica supplementare, per riuscire a convincere lo stomaco a trattenere all’interno la colazione.
All’uscita dal bosco li sorprende una distesa di fiorellini gialli a perdita d’occhio, a contrastare il cupo profilo del Corno alle Scale e delle cime tutto attorno.
Una doppia serie di Balzi li separa da Punta Sofia.
La piramide verticale del Fabbuino e poi, oltre il Passo del Vallone, i Balzi dell’Ora, che lievitano in altezza man mano che ci si avvicina.
La dovuta riverenza per il sentiero EE che si arrampica fino al baluardo della croce di ferro pare dimenticata, ed in molti ne approcciano le pendici, come lunghe cordate Himalayane nei giorni di bel tempo.
Alcune, ahi noi!, decisamente pericolose per tutti.
Nuvole nere avvolgono i millenovecentoquarantacinque metri della cima, impedendo la visibilità del meritato panorama, e spingendo i tre compagni a fuggire verso valle, in una discesa a rotta di collo, che crepa le giunture e fa, dolorosamente, apparire vana l’ascesa.
Al rifugio trovano l’amato fermentato di cereali per brindare alla tappa di domani, ed i preti cocò, come si chiamano a quelle latitudini, in festa per loro.
A Zanax,
ed alla sua passione per il mio pezzettino di Appennino.