Parigi, autunno 2012.
La ragazza è partita, per l’ennesima volta, da sola.
E’ andata a Parigi in cerca di tutto quello che attraverso i libri ed alcuni film la ha fatta innamorare della città: Montmartre, il Sacre Coeur e la sua scalinata candida, gli angoli in cui gli artisti cercano di guadagnarsi la giornata vendendo acquarelli, i ponti sulla Senna, i giardini e le passeggiate, la Cattedrale di Notre-Dame; i vicoli sporchi del quartiere a luci rosse, i fumosi e bui cafè degli scrittori modernisti; i negozi dei mastri profumieri e le luci sfavillanti della Belle Époque, il teatro Opéra Garnier; gli impressionisti; gli echi rombanti della presa della Bastiglia e il chiasso di idee dell’Hôtel de Ville.
Ha deciso di visitare la città a piedi, senza prendere la metropolitana oltre lo stretto indispensabile, per godere appieno di ogni via e vicolo, di ogni piazza e slargo, delle persone che la popolano, di ogni facciata e lampione. Vuole respirare ogni centimetro di questa città, dall’odore fragrante delle boulangeries a quello fetido che ancora ristagna in certi angoli di un centro che per troppi secoli ha fatto a meno delle fogne.
Vuole riempirsi di ogni goccia di pioggia e di ogni raggio di sole.
Vuole conoscere, osservare, ascoltare, assaggiare.
La penultima mattina in città ha deciso di dedicarla al Cimitero del Père-Lachaise, incapace di resistere al richiamo della sacralità della sepoltura di molti personaggi illustri.
Esce dal suo squallido albergo a Pigalle (e dove, altrimenti!), scende il ripido vicolo fino alla fermata della metropolitana, fermandosi a comprare due mele, che probabilmente costituiranno il suo pranzo, alle quali forse aggiungerà un cafè au lait, che non le piace nemmeno molto, ma che richiama così disperatamente i rituali di Ernest Hemingway.
Invece di entrare nella pancia metallica del treno sotterraneo, attraversa il viale e, tenendo al direzione sud-est, copre i cinque chilometri che la separano dal cimitero monumentale. C’è il sole e la città brulica del tipico movimento dell’inizio della giornata.
Di fronte all’ingresso ci sono un paio di chioschi che vendono fiori. Non ci pensa più di un secondo, e compra cinque gerbere arancioni.
Un signore gentile le fornisce una cartina, nella quale sono indicate le posizioni delle tombe di maggiore rilievo. Ha un piccolo tour personale da fare, ma i fiori che ha acquistato sono per cinque sconosciuti. Personaggi non famosi per i più, che non hanno più nessuno che vada a lasciare una preghiera sulle loro tombe o a prendersene cura. Dimenticati.
Mentre si muove tra i viali alberati e le file di lapidi, statue e monumenti funebri, cerca i sepolcri malmessi e trascurati, e si lascia guidare dal nome scolpito sulla pietra, da una data o semplicemente dall’emozione che prova davanti alla tomba, per decidere di depositare il fiore.
E’ la prima volta che fa una cosa del genere. Non sa come le sia venuto.
Ma ne è felice.
Milano, inverno 2020.
La ragazza è cresciuta, è cambiata lei e sono cambiate le situazioni attorno a lei.
E’ in città, per un po’, non sa quanto si fermerà, ma sa che anche se partirà, tornerà.
E’ nevicato, nei giorni precedenti, ma ora il sole ha scalfito la coltre di nubi, riuscendo a riacquistare il suo posto dominante in cielo, illuminando ogni cosa.
I marmi bianchi dell’ingresso del Cimitero Monumentale risplendono, incorniciati dall’azzurro terso del cielo.
Si ferma a comprare un mazzolino di fiori, come ha impulsivamente fatto la prima volta a Parigi anni prima, dando origine ad una sua personale tradizione che da allora coltiva. Li sceglie bianchi.
Un ragazzo la guarda da lontano, incuriosito.
Un’ampia scala porta alle balconate sovrastanti l’ingresso. Lasciandosi guidare dai sepolcri austeri, raggiunge lateralmente la maestosa sala principale, il Famedio, che pare costruita tutto attorno al sepolcro di Alessandro Manzoni. Assieme a lui, un po’ custodi, un po’ spettatori, un po’ compagni, riposano solo altre sette personalità in vista della città, tra i quali sfiora con lo sguardo la pietra tombale di Salvatore Quasimodo e Bruno Munari.
Nel frattempo, il ragazzo la segue, discostato, in disparte, incapace di resistere alla curiosità.
La vede depositare i fiori senza reale affinità per le tombe, scegliere quelle visibilmente abbandonate, solitarie, meno epiche nei monumenti e nelle pietre ornamentali. Per prima sceglie una tomba grigia, in un angolo, intitolata a “due socialisti”, rimasti anonimi.
Giunta nella zona dei forni crematori, l’odore denso della fuliggine, si aggira tra i piccoli spazi che raccolgono le ceneri, scrutando con il naso all’insù nomi e date, come a cercare qualcuno. Poco prima di uscire, lascia un fiore in equilibrio sulla lapide di un eroe del Risorgimento. Assomiglia, vagamente, ad una buchetta delle lettere.
Proprio in quel momento, lei lo nota. Incuriosita dalla di lui curiosità, sfrontatamente gli chiede se gli va di accompagnarla. Le restano ancora due fiori, può aiutarla a decidere dove depositarli.
Lui si lascia spiegare i criteri che la guidano, e camminano assieme lungo gli ombrosi viali alberati, in un silenzio rotto solo dallo scricchiolio del ghiaino sotto i loro passi.
Sceglie il sepolcro di una donna, adorno di una statua che sorregge una maschera. Mesi dopo, lei scoprirà che lì vi riposa una attrice ormai dimenticata, una delle poche centinaia di donne italiane ad avere intitolata una via a perpetua memoria.
L’ultimo fiore è per un bacio, quello di due amanti, lui sceso agli inferi, lei rimasta viva. Un bacio che nella ricostruzione dell’artista non è un congedo funebre, ma conserva ancora all’interno la passione di un amore che brucia. La statua è in contrasto con l’avvenimento. Come a sottolineare che, nonostante tutto, la vita vince sulla morte, anche lì, in un cimitero. Il ragazzo le confessa essere il sepolcro al quale è più legato, lì, al Monumentale.
Il giro è finito, l’ultimo fiore deposto poco distante dall’ingresso e non ve ne è altri.
Raggiunta nuovamente la scalinata candida, si salutano. Senza nemmeno scambiarsi il nome.
E la discendono separati.
Non lo sa perchè, al cospetto dei grandi cimiteri monumentali, nasca in lei il desiderio di comprare un piccolo mazzolino di fiori da regalare a degli sconosciuti.
Non è, solo, per onorare chi non ha più nessuno a prendersi cura.
Non è, solo, per l’importanza del rimembrare.
Fatica, ancora, a leggersi così profondamente dentro da riuscire a dare questa risposta.
Ma sa che non è nemmeno solo regalare un fiore.
Però è un gesto semplice, gratuito. Che le piace.
E la fa sentire bene.