– AVVERTENZA: post scritto a quattro mani, e non in terza persona. –
Lo scorso anno dicembre è stato il mese dei DPCM, del semaforo dei colori che avrebbe caratterizzato i giorni di festa, e delle parole “magiche” che avrebbero permesso almeno in parte di ovviare alla forzata separazione da affetti e famiglia che ancora si andava a richiedere ai cittadini.
Ricordo il mese prima del Natale come un lungo limbo, dove ogni giorno usciva una notizia differente e contrastante con quella del giorno prima, un aggiornamento che annullava tutti i precedenti, in un susseguirsi di ipotesi, distopie e possibili soluzioni per aggirarle, degne di un racconto di fantascienza.
A ripensarci oggi non sembra possibile che questa situazione in cui sessanta milioni di persone si trovavano immerse fosse davvero reale.
Quello che mi serviva, che ci serviva, allora, era un piano.
Un piano per superare i confini regionali, mai così netti dai tempi dell’unificazione nazionale. Mai così forzati.
Le giornate correvano scandite da visite frequenti alla pagina delle FAQ dei DPCM Covid. L’Italia si stava interrogando sul significato di parole come congiunti, e sulla differenza tra residenza, domicilio e abitazione. L’obiettivo era e restava uno e solo uno: essere insieme a Natale.
In questo marasma di informazione caotica, sembrava valere tutto e il contrario di tutto e i piani si susseguivano isterici e bizzarri, tra soluzioni effimere e assolute castronerie. Si andava dal “la cosa peggiore che può succedere è prendere una multa salata, quindi salta su un treno e vieni a Milano”, al “nessuno controllerà mai tutti quindi facciamo come se niente fosse”.
Ma periodicamente la testa tornava a un’idea che avevo elaborato circa 12 mesi prima: camminare da Milano verso gli Appennini, puntare Porretta Terme e quindi Bologna. Un itinerario invernale tra boschi e crinali, zone amene dove le maglie del DPCM fisiologicamente si allentavano.
Un itinerario che certo poteva essere camminato anche in senso contrario, ma eccessivamente lungo e impegnativo per garantire la possibilità di essere insieme a Natale.
Serviva una linea più veloce e immediata, che riducesse i tratti a piedi al minimo indispensabile.
Il Po.
La soluzione è tutta lì, nel fiume più lungo d’Italia, che marca il confine tra la Lombardia e l’Emilia-Romagna, e più a est, quello tra quest’ultima ed il Veneto.
Il fiume che divide in due la Pianura Padana, cuore operoso del Paese. Famoso per le industrie, l’alta frequenza di trasporto e scambio merci, l’inquinamento che da queste due deriva. E per la nebbia.
Il fiume quasi interamente navigabile, che porta l’acqua del Monviso nel Mar Adriatico, attraverso un’enorme delta a sei bracci. Nel farlo, attraversa tredici province, quattro piemontesi, cinque lombarde e quattro emiliane.
Dicevo: il Po delimita un confine regionale.
Esattamente quella linea immaginaria che i DPCM e le misure ad essi connesse avrebbero voluto invalicabile, come isolata da un muro. E, se non ricordo male, durante la quarantena della primavera 2020, un piccolo muro di barriere new jersey tra Piacenza e Lodi lo hanno davvero costruito. O forse lo ho solo immaginato, nelle concitate e disarmanti notizie che uscivano in quel periodo.
La storia, antica e moderna, insegna che i confini, a volte, serve superarli illegalmente. Ed il piano architettato per farlo era semplice quanto geniale.
Le zone colorimetriche in cui era suddivisa l’Italia permettevano di spostarsi, fino al 23 dicembre, liberamente entro la regione in cui ci si trovava. Per cui, da Bologna, in un paio di ore di treno regionale veloce, Piacenza sarebbe stata raggiunta senza problemi. Lì, serviva essere solamente un po’ scaltri, avviarsi come nulla fosse, senza bagagli, solo con uno zaino leggero, verso il ponte sul fiume Po, appunto, e superarlo a piedi, guardandosi in giro come se si fosse turisti. Al termine di questa breve passeggiata di circa un chilometro e mezzo: la Lombardia.
Bucato il confine, conquistata la terra dei longobardi, serviva mentire a chiunque lo chiedesse: sono sempre stata qui.
Raggiungere Lodi e, infine, Milano, sarebbe stato facile e sicuro.
Semplice, no?
Semplice.
Sarebbe stato un po’ come vivere la scena finale di Fuga di mezzanotte, e ci sarebbe stato un po’ da trattenere il fiato. Ma probabilmente avrebbe funzionato.
Del resto era il miglior piano che avevamo, fino a che, inaspettatamente, fu proprio un DPCM a darci la soluzione, consegnandoci la possibilità di stare insieme nell’abitazione di Milano nel totale rispetto delle regole, dei divieti, di zone rosse e arancioni.
Ancora non lo sapevamo ma sarebbe stato l’inizio de i 75 giorni di Martina a Milano.
(Ma questa, anzi queste, sono altre storie.)
Da allora è passato un anno e di nuovo il 25 dicembre è alle porte.
Quella linea tanto immaginata tra Milano e Bologna, Bologna e Milano, è rimasta lì, in attesa.
Tante volte la abbiamo fatta e rifatta tra treni Intercity e Frecciarossa e allora, oggi, perché non percorrerla a forza di gambe?
Perché non imboccare il fiume, l’Adda prima e poi il Po, seguire argini e campi addentrandoci nelle Terre Basse, regno di brina e gelo, fino alla bassa reggiana e modenese?
Terre fredde, spesso avvolte da una nebbia capace di evocare atmosfere oniriche. Dentro cui perdersi, prima di tornare a casa. A piedi.
La Milano-Bologna, è nata così, e così ce la regaliamo per questo Natale.