Partiamo, per Roma?

AVVERTENZE: post in prima persona singolare. –

Nell’ultimo anno e mezzo – quasi due ormai – mi sono ritrovata a combattere una lotta intestina contro me stessa. Fatta di immobilità e desiderio di fuga, di immagini di vite altre e notti insonni.

Quasi da un giorno all’altro, mi sono svegliata da un incantesimo. Senza sapere dove ero, né con chi ero.
Preda di un tormento vorticoso, che faceva vagare i miei pensieri, scombinandoli e ricacciandoli al suolo con forza.
Senza nemmeno accorgermene sono ricaduta nel circolo vizioso dei disturbi alimentari, come già successo in passato. Sono la colonna portante della spirale di autodistruzione che si instaura quando soffro enormemente. Quando qualcosa va male, me la prendo con me stessa. Mi punisco.

Dopo essermi svegliata, piano piano, mi sono resa conto che nulla di ciò che avevo attorno era realmente come lo avevo sempre visto.
Mi sono ritrovata sola, dietro un muro, a doverci fare i conti. Senza un confronto né un conforto, perché la persona alla quale lo chiedevo non me lo voleva dare.
Si è trattato di un disputa con un solo partecipante: me.
E non è stato facile fronteggiare l’eterna prima della classe, posta di fronte al fatto di avere fallito. Sopraffatta da un numero elevatissimo di paure.
Nè banale è stato arrivare a capire e digerire che non si è trattato di un fallimento, ma che a volte si sbaglia, e che quando questo succede lo si può accettare. Ed andare avanti.

Non è stato semplice nemmeno uscirne.
Ogni nodo che arrivava al pettine per essere districato costava lacrime, emicranie, ed un dolore così grande, come se stessero provando a togliermi gli organi interni senza incidere la pelle. Ed alcuni nodi, purtroppo, non saranno districati mai.

In tutti questi mesi, molti, la mia vita è stata squassata da un temporale lunghissimo, ma poi, piano piano, è tornata la primavera.
Grazie ad alcuni irriducibili amici, che hanno aperto le porte per ospitare, passato ore al telefono o seduti accanto, in silenzio, versando copiosi bicchieri di vino ed hanno offerto ben più di una volta la spalla. E per una come me, che vuole affrontare sempre tutto da sola, è stato fondamentale.
Grazie alla terapia della parola, che ricolloca le perle di un filo strappato nell’ordine giusto, ed accende la luce dove serve.
Grazie alla testardaggine di chi si è voluto prendere, gratuitamente, cura. Restando lì, nonostante le mareggiate. Insegnando come affrontare e spazzare via una paura dopo l’altra.
Grazie ai libri, che sempre offrono rifugio e solitudine, ma anche sogni e condivisione.
Grazie, anche, a me stessa, che nonostante tutto ho dimostrato di potercela fare, di possedere ancora quell’antica tenacia, che non porta all’arrendevolezza ma alla propulsione.
Immersa nel fango fino alla vita, ne sono uscita, grazie ad alcune persone, a tante passioni ed a qualche soddisfazione arrivata al momento giusto.

Una volta smesso di farmi la guerra, le cose piano piano sono andate a posto.
Ed il vento si è acquietato, il tormento placato. Il cibo è tornato una passione, non un nemico.


Dopo un anno e mezzo – quasi due – di dolore e troppa immobilità, più o meno obbligata, è il momento di ripartire.
Di riprendersi il mondo dal quale ho desiderato sparire, di ritornare a stare bene nell’unico modo in cui so farlo: camminando.
Riguadagnando la natura primordiale, quella degli ominidi che lasciarono l’Africa al ritmo di cinque chilometri orari per conquistare l’Europa. Lasciandosi alle spalle lo ieri, senza paura di cosa sarà domani.

In tanti modi avrei potuto celebrare la rinascita dopo così tanta fatica, in tanti luoghi avrei potuto dirigere lo sguardo e le gambe.
Ma quasi spontaneo, quasi scherzando, è venuta fuori Roma, la Città Eterna.

Roma, il mio primo viaggio da sola, a diciotto anni, in Eurostar, in un agosto bollente.
Roma, la città dove torno e so sempre che basterà solcarne le strade e respirarne gli odori per stare bene.
Roma, che conosco quasi a memoria, dove posso muovermi senza cartina.
Roma, dove una madre severa mi ha concesso appena pochi minuti del Concertone del Primo Maggio quando avevo quindici anni ed era tutto ciò che desideravo.
Roma, dove due persone che oggi non ci sono più, ma alle quali penso sempre tanto, hanno fatto da guida.

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Piazza San Pietro, agosto 2020.

Par raggiungerla, però, come è mia abitudine, non ho avuto nemmeno per un momento l’intenzione di scegliere un itinerario già pronto, né di imboccare la Via Francigena, ad agosto, che non è proprio qualcosa che fa per me.
Che sono anarchica, nei viaggi a piedi.

Ho accarezzato l’idea di scendere lungo gli Appennini, fino all’Abruzzo per poi attraversare il confine regionale, ma sarebbe stata insensatamente lunga.
Ed allora, la linea più diretta scavalca le montagne e punta ad Arezzo, zigzaga attraverso i territori tra il Lago Trasimeno e quello di Bolsena, e poi raggiunge il letto del Fiume Tevere, per seguirlo fino all’ingresso in città, da Nord.
Qui, è quasi naturale non fermarsi subito, e continuare a seguire il corso d’acqua per una tappa ancora, fino alla foce, dove si getta nel Mar Tirreno.
Perché arrivare al mare a piedi è qualcosa che mi piace. Soprattutto per poter dire, per l’intero viaggio che, questa volta, farò il bagno una volta giunta sulla riva. Per poi, puntualmente, non avvicinarmi nemmeno all’acqua. Ma anche perché, nel 600 a.C., circa, fu un’importante punto di approdo per le flotte dell’Impero Romano, da cui partivano le navi dirette in tutto il mondo allora conosciuto. E mi sembrava un bel simbolismo.

Sulla carta, saranno poco più di cinquecento chilometri, senza eccessive altimetrie, a parte qualche vetta nella prima settimana, dove serve superare gli Appennini per raggiungere prima le colline e poi la pianura.
Ci saranno polvere, caldo e contrattempi. Tappe lunghe e tappe corte.
La partenza è fissata per sabato 31 luglio, l’arrivo per venti giorni dopo.


Andare a Roma a piedi, per me, dopo questo anno e mezzo – quasi due – non é solo una viaggio, una sfida fisica, un obiettivo.

Andare a Roma a piedi é una liberazione.


A Fabio,
per quel primo fine tappa assieme.
E per la testardaggine.

Una risposta a “Partiamo, per Roma?”

  1. Buona strada.
    E ho detto tutto.

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